Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 16 novembre 2024.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

L’esercizio ripara il danno cognitivo inibendo la via del fibrinogeno all’infiammazione. Nel danno cognitivo da diabete il fibrinogeno può contrastare l’effetto positivo della motricità, aumentando i livelli di espressione dei fattori infiammatori IL-1β e TNF-α. Uno studio condotto da Dongwei Lu e colleghi ha accertato che il fibrinogeno nel diabete può contribuire al deterioramento della cognizione e a diminuire gli effetti protettivi dell’esercizio, amplificando il processo neuro-infiammatorio attraverso il danno alla barriera emato-encefalica (BEE), ma l’esercizio fisico può recuperare la funzione cognitiva inibendo la via infiammatoria del fibrinogeno. [Cfr. Metabolic Brain Disease – AOP doi: 10.10007/s11011-024-01455-z, 2024].

 

Disturbo post-traumatico da stress (PTSD): causa una soppressione neuroimmunitaria. Robin Bonomi e colleghi, impiegando tecniche avanzate di neuroimmagine, hanno dimostrato che persone affette da PTSD mancano della fisiologica risposta diretta a un insulto immunitario. I ricercatori, con la visualizzazione in scansioni PET cerebrali di una proteina marker della microglia, prima e dopo la somministrazione di lipopolisaccaride, hanno accertato che il sistema immunitario cerebrale nel PTSD presenta un deficit di risposta rispetto ai controlli non affetti dal disturbo. La soppressione della risposta immunitaria era associata ad anedonia, ossia perdita della capacità di provare piacere. [Cfr. PNAS USA – AOP doi: 10.1073/pnas.2406005121, 2024].

 

DNA mitocondriale in disabilità intellettiva (ID) e disturbi dello spettro dell’autismo (ASD). Bulduk con un team pluridisciplinare spagnolo ha studiato i riarrangiamenti del DNA mitocondriale (mtDNA), caratteristici in patologia mitocondriale e invecchiamento, nella disabilità intellettiva (ID) e nei disturbi dello spettro dell’autismo (ASD). Lo studio ha rivelato un’alta frequenza di riarrangiamenti di mtDNA nella ID, ma non nel caso in cui la ID dell’adulto fosse connessa con un ASD diagnosticato nell’infanzia, escludendo un ruolo dei riarrangiamenti del materiale genetico mitocondriale nell’autismo. [Cfr. Journal of Intellectual Disability Research – AOP doi: 10,111/jir.13197, November 2024].

 

Disturbi dello spettro dell’autismo (ASD): la musicoterapia è solo uno stimolo efficace. Un gruppo di studio cino-australiano, impiegando anche l’elettroencefalografia quantitativa (qEEG), ha valutato gli effetti della musico-terapia su bambini affetti da disturbo dello spettro dell’autismo (ASD) con disabilità intellettiva (ID). I risultati mostrano che la musicoterapia generava intense risposte qEEG alle scene sociali; risposte che consentivano di prevedere l’attivazione comportamentale. La musicoterapia non è risultata in grado di migliorare i punteggi ai test che misurano il grado di autismo (CARS-2) e la scala di risposta nel rapporto coi genitori (SRS-2), ma le intense risposte cerebrali che ha generato ne suggeriscono l’impiego come attivatore per le sessioni di esercizio. [Cfr. Autism Research – AOP doi: 10.1002/aur.3254, Nov. 2024].

 

Glioblastoma Multiforme Epilettogeno: i canali KCND2 aumentano l’eccitabilità neuronica. La più grave patologia oncologica del cervello nell’adulto è a volte gravata anche da crisi convulsive. Ye Zhang e colleghi hanno rilevato che, nelle forme epilettogene, le cellule cancerose virano verso uno stato simile a quello delle cellule progenitrici (OPC-like), sono più numerose all’interfaccia col tessuto circostante ed esprimono canali KCND2, che determinano uno squilibrio di K+ con accresciuta eccitabilità.  I KCND2 sono dunque potenziali bersagli terapeutici. [Cfr. Neuron – AOP doi: 10.1016/j.neuron.2024.10.016, Nov. 11, 2024].

 

Scoperta la memoria cellulare di organi periferici: non bisogna confonderla con le memorie psichiche. Nikolay V. Kukushkin e colleghi della New York University hanno stimolato due tipi cellulari – uno proveniente dal rene e uno proveniente da tessuto nervoso – con un pattern di ripetizione spaziata, cui le cellule cerebrali normalmente reagiscono formando memorie. Le cellule non cerebrali erano capaci di distinguere i segnali ripetuti a intervalli da quelli semplicemente prolungati e, come le cellule encefaliche, hanno attivato un gene associato alla memoria; il gene della memoria era attivato più intensamente e per un tempo più lungo con il pattern di ripetizione spaziata che produce il cosiddetto “massed-space effect” tipico dei neuroni dell’ippocampo.

Questo dimostra che la proprietà di apprendere dalla ripetizione spaziata non è esclusiva dei neuroni cerebrali, ossia di speciali cellule eccitabili, ma potrebbe appartenere anche a cellule non eccitabili e costituire una potenzialità generalmente presente nelle unità costitutive di tessuti, organi e apparati degli organismi animali.

Prima che solerti divulgatori possano parlare di “memoria del rene” come se si trattasse di un ricordo episodico, è bene precisare che i ricercatori della New York University hanno rilevato un meccanismo cellulare simile a quello che è alla base della memoria comportamentale nel sistema nervoso, ma ciò non vuol dire che si verifica un processo identico a quello compiuto dal cervello, ma solo che la capacità di memoria degli organi periferici che siamo abituati a ricondurre a risposte semplici a stimoli ripetuti, come l’ipertrofia dei muscoli sollecitati o il formarsi di un callo nell’epidermide, ha una base cellulare specifica che richiede di essere approfondita da ulteriori ricerche. In altri termini, uno dei processi cellulari alla base delle memorie comportamentali, sviluppate già dal sistema nervoso di animali semplici come Aplysia californica, potrebbe essere una proprietà universale delle cellule animali di organismi complessi. [Cfr. Nature Communications – AOP doi: 10.1038/s41467-024-53922-x, 2024].

 

Grande efficacia dell’ATRA (all-trans-retinoic acid) nel trattamento dell’ictus. Lixi Tan e colleghi del dipartimento di Neurologia del Liwan Central Hospital hanno condotto una sperimentazione preclinica, dimostrando che l’ATRA riduce il volume dell’infarto cerebrale post-ictus e migliora i deficit neurologici nei ratti MCAO. Inoltre, l’ATRA riduce l’edema cerebrale, l’espressione e il rilascio di citochine proinfiammatorie e il fenotipo M1 della microglia, promuovendo il fenotipo M2 neuroprotettivo. Il meccanismo dell’ATRA individuato dai ricercatori consiste nella soppressione della via di segnalazione TLR4/NF-KB. [Cfr. Neurosciences (Riyadh) 29 (4): 276-283, 2024].

 

Una discussione su ATRA, licopene e carotenoidi ha indotto la richiesta di ripubblicare i contenuti di una nostra notula. Discutendo fra i soci il valore dello studio sull’impiego dell’ATRA nel trattamento dell’ictus, è stata richiamata l’attenzione sul ruolo protettivo e preventivo per un ampio spettro di patologie sperimentalmente dimostrato per molti composti contenuti nelle carote. Dopo una rapida verifica ci siamo resi conto che l’informazione su questo argomento è ancora carente, allora abbiamo deciso di presentare qui i contenuti di una notula del 2018:

Le carote non erano arancioni, ma da quando lo sono possono prevenire l’ictus. Originaria dell’Afganistan, di colore biancastro, giallino o viola purpureo, la carota si è diffusa prima in Iran e Cina, poi in Giappone e, infine, in Europa. La varietà attualmente egemone nel mondo è stata artificialmente realizzata dagli Olandesi mediante una paziente selezione volta al fine di ottenere il colore arancione, in onore di Guglielmo d’Orange. Anche se in un recente saggio storico Evelyne Bloch-Dano ipotizza, sulla base di rilevi documentali, che una varietà rossa ed una gialla fossero già note nel VI secolo a.C., non si trattava delle carote attuali, sia perché rossa potrebbe stare per purpurea e gialla per giallastra, come quelle diffuse nel Medioevo, sia perché studiosi autorevoli suppongono che si trattasse di barbabietole, come quelle di cui parla lo scrittore e agronomo Pietro de’ Crescenzi (1233-1320).

Gli oltre 600 carotenoidi noti, pigmenti organici rinvenuti nelle piante e in altri organismi fotosintetici, quali alghe e alcune specie di batteri, sono costituiti da una catena polienica di 35-40 atomi di carbonio, la cui struttura consente di distinguerli in due classi: le xantofille, come l’astaxantina, la luteina e la zeaxantina, che contengono atomi di ossigeno, e i caroteni, costituiti solo da idrogeno e carbonio, senza ossigeno. Fra questi, la molecola di carotene che dà nome alla classe, è il pigmento responsabile del colore delle carote e, insieme con il licopene, è di notevole interesse medico. Il colore del fenicottero rosa, del salmone, delle aragoste, delle foglie in autunno è dovuto a queste molecole, che hanno una parte significativa anche nella nostra pigmentazione cutanea. La struttura rende questi composti in grado di stimolare la chemiorecezione olfattiva, generando il profumo di tè, tabacco, vari fiori e frutti. I carotenoidi hanno la proprietà di legare i radicali liberi, consentendone l’eliminazione in processi di vitale importanza per ogni apparato, incluso il sistema immunitario. Con l’eccezione degli afidi, l’organismo animale non è in grado di sintetizzare i carotenoidi che, pertanto, devono essere assunti con la dieta.

La nostra società scientifica ha studiato e verificato, prendendo le mosse da una rassegna pubblicata da Bahonar e colleghi nel 2017[1], la possibilità di impiego dei carotenoidi quali antiossidanti nella prevenzione dell’ictus. [BM&L-Italia – Aggiornamenti – agosto 2018].

I risultati emersi dagli studi più recenti indicano che alti livelli di assunzione dietetica di licopene, carotene, astaxantina, luteina e zeaxantina sono associati ad una significativa riduzione del rischio di ictus e di altre patologie cerebrovascolari. Il principale meccanismo d’azione responsabile di questi effetti protettivi non è stato ancora identificato; tuttavia, sono stati proposti vari meccanismi al di fuori dell’attività antiossidante all’origine delle proprietà preventive. In attesa che si scoprano i processi molecolari che riducono la probabilità di episodi cerebrovascolari acuti, è ragionevole introdurre supplementi dietetici di carotenoidi nei pazienti a rischio. [BM&L-Italia, novembre 2024].

 

Scoperta una nuova specie di granchio che pone un interrogativo sul comportamento. Nelle profondità abissali del mare del sud della Cina è stata scoperta una nuova specie di granchio, che è stata battezzata Gordonopsis mazupo e detta in inglese Mazu’s Porter Crab. Morfologicamente è simile a Gordonopsis pacifica (Takeda & Suyama 2019), una specie del Pacifico Occidentale che vive presso l’isola di Okinotori all’estremo meridionale del Giappone, e ai granchi Gordonopsis hera del Mare di Bismark al largo di Papua Nuova Guinea.

Il nuovo granchio ha un colore giallastro caldo con zampe arancioni e il suo genere, Gordonopsis (Guinot & Richer de Forges, 1995), appartiene alla famiglia delle Homolidae, in inglese carrier crabs o porter crabs. Gordonopsis mazupo è una specie di grandi dimensioni, nel suo genere, con zampe molto lunghe e, soprattutto, chele come due lame. Proprio questa particolarità di chele come coltelli, che conferisce una possibilità speciale nel trattamento delle prede e in molte altre circostanze, incuriosisce i ricercatori: si vuol capire se questo adattamento, con le sue conseguenze comportamentali, abbia un correlato morfo-funzionale nel sistema nervoso centrale e se questa peculiarità nervosa abbia preceduto, accompagnato o seguito la morfogenesi evolutiva delle chele-lame. [Fonte: Raffles Bulletin of Zoology 72: 127-134, 2024].

 

“Essere e Senso” al Seminario Permanente sull’Arte del Vivere di BM&L-Italia. Il titolo di questo studio che stiamo conducendo da due anni è nato proprio in antitesi costruttiva al distruttivo L’Être et le Néant (L’Essere e il Nulla) di Jean-Paul Sartre, che nel maggio del 2022 ci è stato riproposto come chiave di lettura degli sviluppi più recenti dell’anti-pensiero post-moderno. La parola “Senso” del titolo deve essere intesa quale “sensazione psicologica di significato che costituisce valore” (Giuseppe Perrella) come nell’espressione “il senso della vita”. Riprendiamo questo argomento da una rielaborazione di un saggio omonimo di Monica Lanfredini, che esprime l’orientamento prevalente fra i soci, e di cui qui proponiamo i primi due paragrafi, intendendo proseguirne la pubblicazione nelle prossime settimane.

 

1. La concezione dell’essere ha sempre influenzato il modo di pensare a sé stessi e agli altri. Il valore della persona umana nelle grandi culture della storia è sempre stato in rapporto con la concezione dell’essere, e nel tempo presente proprio la mancanza di una chiara concezione dell’essere sembra contribuire allo svilimento della persona e a una perdita di prerogative proprie del soggetto che prescindano dal suo ruolo funzionale e dalla sua valenza economica e politica. La massificazione del ceto intellettuale, inglobato nella moltitudine anonima di consumatori, utenti o elettori, ha contribuito a tacitare le voci libere di riflessione sull’uomo, facilitando la rimozione, o la vera e propria cancellazione, delle elaborazioni di pensiero da porre alla base dell’esistenza.

Al Seminario sull’Arte del Vivere, proseguendo la discussione avviata la scorsa settimana, si è notato che oggi non si pone più la questione dell’essere tra gli argomenti prioritari, nemmeno nel ristretto numero di pensatori che ancora si dedica alla speculazione per sincera passione del sapere e desiderio di conoscenza. Schiere di studiosi contemporanei hanno diffusamente illustrato, analizzato e dibattuto le cause dell’evidente involuzione, regressione e stasi o stagnazione culturale cui sembra siamo tutti condannati, perché rassegnati all’ineluttabile imbarbarimento causato dall’adeguamento ad oltranza alla superficialità delle mode e alla cancellazione di ogni aspirazione ideale. Noi proseguiamo per la nostra strada, a volte faticosa, ma sempre ricca di occasioni di conoscenza che contengono l’implicito potere di cambiamento che ci conferisce la comprensione.

Oggi viviamo la desertificazione o la scomparsa, se si vuole, di un campo che era stato ingombro di rovine dovute alla distruzione virtuale dell’edificio dell’essere che resisteva da due millenni, proprio quando le città europee erano invase dalle macerie materiali della guerra. Procediamo con ordine.

 

2. L’Essere e il Nulla. Nel 1943 Jean-Paul Sartre pubblica L’Essere e il Nulla (L’Être et le Néant: Essai d’ontologie phénomenologique) in cui distingue l’essere-in-sé, ossia quello dei fenomeni, dall’essere-per-sé, ovvero quello della coscienza, che, negando il primo, cioè l’essere-in-sé, si configura come non-essere e induce la riflessione ontologica sul nulla[2]. La distruttività di quel pensiero è perfettamente in carattere con la completa perdita di fiducia nell’uomo, ispirata dai massacri e dagli orrori interminabili del secondo conflitto mondiale.

La prima traduzione italiana si avrà solo nel 1958, quindici anni dopo, e la diffusione del libro fra i giovani universitari avviene in Italia negli anni Sessanta, in una temperie del tutto diversa, quando la pace, il boom economico, la diffusione delle automobili, i voli transoceanici, la televisione, gli elettrodomestici e tutti gli altri agi del nascente consumismo sembrano promettere una vita piena, ricca e intensa, senza spazio per il vuoto esistenziale. E, infatti, tra i giovani il nulla sartriano si limita a creare qualche moda passeggera e un po’ snob, come vestire di nero e dichiararsi “in lutto per la vita”, ma poi scompare cancellato dal pensiero ideologico che la fa da padrone in quel periodo, attraverso la politicizzazione capillare della società.

In Italia la negazione dell’essere in termini di nichilismo si ripropone con un ritorno di interesse per Nietzsche e Heidegger, come provano gli studi di Valerio Verra, ma una risonanza al di fuori degli ambienti filosofici si ha solo con Gianni Vattimo e la sua Apologia del nichilismo (1981), nella quale suggerisce, per superare il disagio della civiltà di freudiana memoria, l’assunzione di un “nichilismo attivo”: una ricetta che non fa i conti con gli effetti sull’equilibrio psicologico di una tale scelta esistenziale.

Emanuele Severino, dal canto suo, sposta paradossalmente e provocatoriamente il nulla all’interno degli enti, affermando che agli enti è consentito il non-essere, e concludendo, nel saggio Essenza del nichilismo[3], che il Dio della metafisica e la tecnica, quale dominio della produzione degli enti, sono le due espressioni fondamentali del nichilismo.

Negli anni seguenti, come si è già accennato, il problema dell’essere e della sua dissoluzione è stato accantonato o relegato alle trattazioni di storia del pensiero filosofico.

Ma come si arriva a questo punto? Ritorniamo all’essere dei Greci.

 

[Continua].

 

 

Notule

BM&L-16 novembre 2024

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1]Bahonar A., et al. Carotenoids as Potential Antioxidant Agents in Stroke Prevention: A Systematic Review. International Journal of Prevention Medicine AOP – doi: 10.4103/ijpvm.IJPVM_112_17, eCollection, 2017.

[2] È proprio questo passaggio che Emanuele Severino vuole azzerare nei saggi che dedica al problema del nichilismo, con l’eloquente titolo di apertura Ritornare a Parmenide.

[3] Cfr. Emanuele Severino, Essenza del nichilismo. Adelphi, Milano 1982.